Bar tentazioni

Ritorno a quel tavolino, al Bar Tentazioni.

Non è un modo per definirlo, l’insegna del bar riporta realmente questo nome; ironia della sorte.

Mi siedo nello stesso luogo dove sedevo con te ormai una primavera fa. Non ci sentiamo più da mesi e qui sembra tutto cambiato. Il cielo non è lo stesso, non c’è sole, ci sono solo nuvole grigie.

Io avevo preso un caffè shakerato, ordino invece uno normale, leggermente lungo.

I miei sentimenti sono rimasti qui, ma so che per te non è andata così.

Non mi servirebbe a nulla parlartene, raccontarteli, perché il nostro tempo è davvero finito.

Sei altrove. Altrove con le tue smanie, altrove con i tuoi giochi, quelli ai quali non ho voluto giocare, altrove anche con quella poca sensibilità che poteva rimanerti e che non riservi di certo più per me.

Non ti chiamo perché so che mi farei male. Non ti chiamo perché voglio tenerti con un ricordo bello, dei momenti davvero piacevoli trascorsi a chiacchierare insieme.

Allora mi stringo a me, mi stringo alle mie emozioni, sole, grandi.

Mi stringo ai miei sentimenti mentre sorseggio questo caffè al quale non ho voglia neppure di aggiungere lo zucchero; il sapore così è amaro, amaro come qualche volta la vita è…

Sembra che tutto si sia fermato in quel parcheggio.

Mi chiedo se ho sbagliato.

Forse non le avrei dovuto spendere tutte queste emozioni.

Avrei dovuto trattenerle e regalarle a chi mi ama davvero.

Sì, mi dico, non avrei dovuto sprecarle.

Erano qualcosa di davvero prezioso per me, un valore che non doveva essere così distrutto.

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Justine Fober

Qualche volta la si intravede ancora, la sera, è un’espressione a ravvisarla, una movenza a distinguerla, una luna piena, le pieghe di un abito che ha scelto lui stesso nel suo armadio e che lei indossa da quando egli disse: “ti amo”. Un calice di vino rosso ondeggia in mano al cospetto di un mondo decisamente lontano, un dettaglio minimo del tutto, a molti estraneo, ma comune – maestoso – solo a loro.

E’ Justine Fober, nostalgica su un molo, nel cuore d’un agosto che sognava diverso; la riconosco è proprio lei, quando le brillano gli occhi e non cede più ad un sorriso beffardo. Lei che scruta gli uomini poi sfugge al loro sguardo per non invitarli ulteriormente; lei che ci somigliava, che passeggia lentamente, guardandosi intorno e trascinando in terra un fazzoletto estivo, forse un foulard bianco con una maglia a grana di riso.

Fober… di un etimo incerto, un noema semplice, di una grafia emotiva ed un tratto fragile tracciato su una superficie di velluto grigio, una grammatura consistente che poteva anche reggere il disegno… ed un epilogo disfatto per mano della mia stupida incertezza di uomo.

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Noi poeti

Noi poeti
un nastro bianco intermittente sull’asfalto
silenzio e tre di notte
serrande chiuse nel borgo di Nettuno.

Noi poeti
non di professione
poveri in un mondo che non ci appartiene;
noi
che imbocchiamo un vicolo secondario
stretto
meno vissuto
meno apprezzato.

Noi poeti che non ci incantiamo davanti a fuochi d’artificio
bensì osserviamo visi scolpiti della gente.

Noi
che traballiamo con vodka in mano
oziando
su gradini sporchi
osservando sandali di donne.

Noi poeti
ebbri di concetti
noi poeti che ci annusiamo
che ironizziamo
che assassiniamo neuroni
che ci sbronziamo per stordire ogni nostra cognizione.

Noi poeti
che contiamo i passi
che osserviamo granuli di sabbia prima delle onde
noi poeti che nuotiamo a riva e camminiamo a largo.

Noi
che ci allontaniamo dall’egocentrismo
che ricerchiamo l’assolutismo;
noi che non abbiamo natura
ma ci riconosciamo in ogni cosa.

Noi poeti che impazziamo per un dipinto
(se acquerello variopinto),
noi poeti che camminiamo con una biro in tasca
un piccolo quaderno
e con pantaloni imbrattati d’inchiostro nero.

Noi poeti che viaggiamo
romanzi persi sui sedili posteriori.

Noi
che manchiamo sempre strada
oltrepassiamo incroci
arrischiamo inversioni,
non badiamo a indicazioni
poiché distratti tra versi di poesie.

Noi poeti a piedi nudi
le cuciture delle scarpe ci tormentano;
noi che sapevamo sognare
noi che sappiamo piangere
che sappiamo ancora ascoltare.

L’abbiamo richiesto noi questo talento?

Ci hanno commissionato emozioni affinché potessimo scriverle.
E gradualmente ogni restante inquietudine
malinconie
solitudini
affanni.

Noi poeti che non saremmo mai soddisfatti.
Noi poeti inutili
noi poeti soli.

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Fotogrammi letterari

Fogli su fogli si ammassavano sulla scrivania di noce, una grafia nera vacillava su ogni rigo, era la mia scrittura.

Tu incuriosita e certa a priori del mio consenso, protendevi la mano sollevando una delle pagine, la piccola quantità di polvere accumulata in superficie si volatilizzava attraverso barlumi di luce.

A cosa stavi lavorando?

L’amnesia non mi permetteva di ricordare un solo avvenimento narrato all’interno di quei fogli; da quanto quelle pagine erano li? Non sapevo dare risposta ai quesiti posti, potevo solo rifiutare nel riconoscere un vero impegno letterario in quegli appunti abbandonati.

Ma non mi avevi detto che non scrivevi più? –

Non so cosa tu stia leggendo in verità…

Poi balbettavi qualche parola nella difficoltà a comprendere quella mia grafia sbarazzina. – Oltre i mar… margini non osser… osse-rva-bili – in seguito tutto d’un fiato – Oltre i margini non osservabili, c’eri tu.. e ancora tu. – Proseguivi, a brandelli di parole, congiungendo sillabe come fai solitamente con le note dei tuoi nuovi spartiti da pianoforte. Poi su l’ennesimo singhiozzo ti interrompevo recitando istintivamente il paragrafo:

Oltre i margini non osservabili, c’eri tu e ancora tu.
Tu rovesciata sul letto e stremata dal tempo; io che avevo appetito e ritagliavo una mela.
Ancora un tuo gemito, mentre addentavo; smarrivo l’attenzione nell’osservare le tue vesti, un patrimonio abbandonato a terra alla conquista delle nuove pieghe che tracciavano un sentiero di passione.

Arrivato al punto accapo ero catturato da un leggero rimorso: nel totale flashback di quel capoverso, avrei dovuto innegabilmente chiarire anche le probabili curiosità che sarebbero sopraggiunte? Per esempio: quando avevo scritto? A chi era stato dedicato? Ma il tuo riscontro sopraggiungeva più che discreto malgrado il desiderio di recuperare conoscenza del tempo che ci aveva diviso da più di un anno.

Splendido – posso leggere ancora?

Prolungavi la mano su un nuovo foglio con un leggero timore di scoperta e allo stesso tempo l’eccitazione nel recuperare qualche storia nuova.

Io intanto mi avvicinavo per aprire le imposte e permettere al mattino di entrare. Attorno al casale l’erba selvatica era cresciuta alta, ricopriva metà delle ruote posteriori del vecchio trattore di mio padre; la ruggine non aveva ancora mangiato la scritta Massey Ferguson.

Le tue figlie giravano l’angolo, potevo osservarle dall’alto mentre giocavano, ridevano inseguendosi l’una con l’altra. La più grande che riusciva facilmente a staccare la più piccola che, con grande fatica, correva sull’erba alta con lo sforzo simile a chi corre sull’acqua. Le loro risa salivano fin su al secondo piano, risuonando nella nostra stanza in penombra

Il disordine delle cose, la trascuratezza di quel luogo riportava la stessa sconsideratezza dei paragrafi che attentamente leggevi. L’erba alta e i fiori di campo crescevano in maniera del tutto naturale, le mie parole similmente, erano nate senza che ne potessi ricordare l’ordine cronologico.

Faticavo a riconoscermi protagonista in tutto ciò che mi era accaduto nell’ultimo anno. Il tuo distacco aveva originato un’assenza anche dentro la mia vita, come se una parentesi temporale fosse evaporata dopo il tuo rientro, ne rimaneva qualche istante trascritto… che si poteva ancora scorgere attraverso quelle pagine.

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Scambi di sguardi

Il disegno di Laliberte poteva essere presagio su una scena futura, ma io non potevo immaginarlo…
Ora che da giorni ormai sono partito, lontano dai binari di Milano, allora ripenso su quanto accaduto.

Ripenso a quell’ultima scena veduta: il buio dell’ora solare, le lancette che segnano le nove e la pioggia battente.
Il mio indugio al riparo del porticato della stazione ed il vederla in attesa della ripartenza del treno appena fermatosi al nostro comune arrivo. Il suo allontanamento nello svincolo di un sovrappasso prudente, oltre i binari, verso il vecchio passaggio dismesso che porta in via Antonio Gramsci.
L’ombrello spiegato ed i suoi passi incerti tra una pozza d’acqua ed uno snodo di metallo.

Avrei voluto seguirla, avrei dovuto seguirla?

Il desiderio di riuscire a trovare un punto, un percorso comune, uno spunto di recapito per una lettera.
Un foglio di carta scritto, un pensiero tra un viaggio, tra un ritardo, tra uno scambio di rotaie ed una coincidenza… una coincidenza di incroci tra treni…
…e sguardi… tra noi.

Coniugazioni verbali

Quello sarebbe stato l’unico modo e l’unico tempo.

Niente imperfetto, che già contiene l’errore nel nome.

Non voleva il vincolo di un condizionale o l’ipotesi di un congiuntivo ormai in disuso.

Aveva vietato trapassato remoto e passato prossimo con le loro commemorazioni e i loro rimpianti, bandito l’ansia di un futuro fatto per costruire e l’uso dispotico dell’imperativo.

–La baciò all’indicativo presente, come se dovesse durare per sempre, e quel bacio le restò dentro per l’eternità. –

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Va bene così…

Va bene così… ma mi cade una lacrima.
Va bene così… ma fisso il vuoto.

Va bene così… ma penso:
– dove siamo? –

Va bene così… ma ho un po’ paura.
Va bene così… va bene così…

Va bene così… ma vorresti baciarmi.
Va bene così… ma vorresti svestirti.
Va bene così… ma vorresti ancora amarmi.

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…ma va bene così.

È successo

È il senso di appartenenza che ti porta a avvertire un sapore differente per ogni gesto;

È il sentimento che riconduce ogni passione ad un’azione nobile;

È il cuore che rilascia il nullaòsta agli impulsi, ai desideri, alle fantasie, alle smanie… senza riserve per i ripensamenti;

È l’animo che crea una dimensione per viversi, un limbo nel quale accogliere ogni possibile emozione senza rimorsi;

Tante emozioni tutte insieme e tanti pensieri che ci travolgono e a fatica riusciamo a mettere ordine i concetti e le sensazioni.

Siamo qui, con le nostre due vite, sulle quali spostando gli addendi i risultati non cambiano mai.

Due vite differenti, ma per entrambi sospese.

Eppure non lo avevamo mai pensato prima dell’istante che inaspettatamente è accaduto.

La sensazione di appartenere ad un quotidiano ci porta ad entrambi all’interno di una vita del tutto serena trascinata dalla grande futilità del senso moderno.

Abbiamo tutto quello che forse non avevamo mai necessità di desiderare in un’altra era.

Sono un uomo realizzato, un dirigente a poco più di 45 anni, ho una casa, bella, grande, ho una famiglia, sto bene con la salute, faccio una vita mondana… anche troppo mondana come tu ironizzi e sorridi con affetto…

Sei una donna realizzata, anche tu all’interno di un contesto favorevole, una bella famiglia, un lavoro appagante e a contatto con il senso umano, un uomo realizzato accanto a te, nel contesto di in un meraviglioso paradiso naturale, sei così bella…

Ci deriderebbero in molti; altri ci criticherebbero perché tutto sommato è vero che le scontentezze della vita sono ben altre che le nostre. Vite desiderate e invidiate da molti.

Allora penso che non è questione di condizione, allora penso solo che doveva succedere e basta.

Voglio pensare che non esiste una causa, un pretesto… un movente per scagionare la nostra innocenza.

È successo e non mi fermo.

Non ho bisogno di sentirmi nel giusto, non ho necessità di pensare di essere responsabile, non sono puro, non sono onesto… non mi interessa cosa sono… non sono è basta… non mi interessa….

Ora voglio solo pensare che sono con te, che sono per te…

Equilibristi

E’ un crocevia di sensi

questo equilibrio costante

di sentimento e sensualità.

Il tenerti sul mio petto

compiacerti tra le leghe dei tuoi capelli mossi

questi cuori che sussultano

anche dentro corpi distesi in ozio.

L’essere avvinghiato tra le tue gambe

e sentirne il calore, il liquido di desiderio

questi cuori che non reggono d’emozione

Questi occhi chiusi nell’amplesso.

E unirsi lasciandosi dominare dagli istinti

quando ti afferro per i capelli

e mi senti ovunque

quando vuoi che sia tuo

e non mi lasci respiro per tornare ad essere mio.

Per te solo

Eluderei i desideri, riaffiorando nostalgie, riempendomi di rimpianti.

Rinuncerei ai giochi proibiti, agli abusi che forse ho palesato senza troppo pensarci.
Farei a meno degli intenti, quelli più perversi, che ho inventato per te, per farti stare bene… per realizzare i tuoi sogni.
Scriverei meno racconti erotici e più lettere d’amore.
Farei il reso per un regalo promesso; volevo farti sentire come potevo starti indosso.

Annullerei l’invito in un luogo segreto, che era così nascosto da essere ancora inconfessato.

Ma non rinuncerei mai ai tuoi occhi, mai al tuo abbraccio…
…mai ai tuoi sentimenti, mai al tuo animo.

Non rinuncerei alla tua voce, al tuo suono, al tuo silenzio e ai tuoi pensieri per me.
Non rinuncerei mai a te.